Il 2020 è stato un anno incoraggiante per quanto riguarda il benessere degli animali in Europa. L’Unione europea, infatti, ha fatto importanti passi in avanti per migliorare il modo in cui gli animali da allevamento vengono trattati e le condizioni in cui vivono: dall’etichetta sul benessere animale alle condizioni di trasporto degli animali vivi, fino alle alternative alle gabbie. La battaglia per assicurare loro una dignitosa condizione di vita, però, è tutt’altro che conclusa.
Regno Unito: verso il divieto di esportazione di animali vivi
Dal Regno Unito, lo scorso dicembre, sono arrivate buone notizie: il ministro dell’Ambiente britannico, George Eustice, ha annunciato che Inghilterra e Galles stanno pianificando di vietare l’esportazione di animali vivi da macello e da ingrasso. Una mossa che renderebbe il Regno Unito il primo Paese d’Europa a farlo.
Il costo sanitario dell’allevamento intensivo
Nell’attuale sistema zootecnico, sono proprio gli animali a pagare il prezzo più alto: le fattorie, infatti, spesso considerano gli animali come commodity o come una vera e propria macchina produttiva. Vivono rinchiusi in gabbie strette o confinati in spazi angusti, dove trascorrono un’esistenza breve e dolorosa. Vivere in queste condizioni, peraltro, rende gli animali più suscettibili a sviluppare malattie. In molte fattorie che praticano l’allevamento intensivo, infatti, vengono regolarmente somministrati loro vaccini e antibiotici, ma questo rappresenta un rischio anche per chi consuma la loro carne. Pensate che il settore zootecnico dell’Ue consuma più antibiotici del settore medico umano, e tutto ciò contribuisce a incrementare la resistenza agli antimicrobici, un fenomeno che nell’Unione europea provoca 33.000 decessi all’anno.
Il costo ambientale dell’allevamento intensivo
Non è tutto: l’allevamento intensivo minaccia anche la sostenibilità ambientale, la salute umana e il sostentamento dei piccoli agricoltori e delle comunità rurali.
In virtù dell’elevata domanda di carne e di esportazioni in Europa, è oggi più che mai necessario valutare attentamente le conseguenze dell’allevamento intensivo degli animali sulla salute dei cittadini e dell’ambiente, e garantire che gli allevatori di piccola scala siano in grado di sostenere le loro attività, assicurando al tempo stesso il rispetto del benessere degli animali.
Abbiamo scritto che, nel 2020, l’Unione Europea ha agito in modo attento: riavvolgiamo il nastro per capire che cosa è stato fatto.
Aprite le gabbie!
Nel corso degli ultimi anni, i consumatori europei hanno mostrato sempre maggiore interesse nell’essere informati in maniera più approfondita sulle condizioni in cui gli animali vengono allevati, spinti dalla determinazione a porre fine alle pratiche di maltrattamento. Un cambiamento di mentalità, questo, testimoniato dal successo riscosso dall’Iniziativa dei cittadini europei intitolata “End the Cage Age“, sostenuta da più di 170 organizzazioni tra cui Slow Food, che ha raccolto più di un milione e quattrocentomila firme. Il messaggio lanciato dai cittadini alle istituzioni europee è stato chiaro: è tempo di abolire l’uso delle gabbie negli allevamenti di tutta Europa.
(Gallina bianca di Saluzzo)
L’iniziativa popolare ha spinto il Parlamento europeo a chiedere che venga fatto uno studio sull’argomento, finalizzato a valutarne la fattibilità. Lo studio valuta le alternative alla stabulazione in gabbia di galline e scrofe, e le sue conclusioni sono promettenti.
Si legge che «l’allevamento privo di gabbie ha un effetto positivo sulla libertà comportamentale e sul benessere degli animali (…) La ricerca mostra che la stabulazione senza gabbie è attualmente possibile o che lo sarà in futuro. Un passaggio verso sistemi di allevamento senza gabbie può essere ottenuto, a breve termine, attraverso misure economiche e politiche, e nel lungo periodo attraverso un processo legislativo».
Verso un sistema di etichettatura per il benessere animale
Abbiamo il diritto di sapere in che modo viene prodotto e da dove proviene il cibo che mangiamo, eppure spesso l’industria alimentare tende a rendere difficile scoprirlo. L’assenza di un sistema di etichettatura adeguato impedisce ai consumatori di fare scelte alimentari consapevoli e non premia adeguatamente gli agricoltori che scelgono sistemi più rispettosi del benessere degli animali.
A seguito delle pressioni esercitate dalla società civile, la Commissione europea ha mosso i primi passi verso una maggiore e migliore etichettatura che riguarda proprio il benessere animale. Come si legge nell’ultimo policy brief della ong Eurogruppo per gli animali, informazioni di questo genere esistono, ma solo per alcuni prodotti come le uova e solo in virtù di norme nazionali o di iniziative private. La Danimarca, ad esempio, ha messo a punto un sistema di etichettatura sul benessere degli animali; in Germania, invece, si sta lavorando per creare un’etichetta che riguarda l’allevamento dei suini.
(Abruzzo © Paolo Andrea Montanaro)
La situazione attuale, segnata dalla scarsa armonizzazione legislativa, potrebbe cambiare nei prossimi anni. Nella strategia Farm to Fork pubblicata lo scorso maggio, la Commissione europea ha definito l’etichettatura come «uno strumento centrale per fornire ai consumatori informazioni riguardanti il livello di sostenibilità della produzione alimentare, il valore nutrizionale dei prodotti alimentari, così come le informazioni al consumatore relative al benessere degli animali». Su quest’ultimo punto, la Commissione ha annunciato la promulgazione di un’etichetta Ue sul benessere animale con lo scopo di aumentare la credibilità e la trasparenza dei prodotti alimentari sui mercati dell’Ue e di consentire ai consumatori di fare scelte più informate.
Business VS sofferenza degli animali
Ogni anno, sono milioni gli animali che per ragioni commerciali vengono trasportati – sia internamente all’Ue sia in paesi terzi – viaggiando per diversi giorni di fila in condizioni terribili. A causa di modalità di trasporto inadeguate, non accade raramente che gli animali subiscano gravi lesioni, e che altri ancora muoiano dopo aver patito atroci sofferenze. Le ragioni sono varie: mezzi di trasporto privi dello spazio necessario, mancanza di attrezzature adeguate per l’alimentazione e l’abbeveraggio, personale scarsamente addestrato, e anche il semplice trasporto di animali non adatto a sopportare tratte lunghe. Tutte ragioni che finiscono per causare stress e dolore agli animali.
(Maiale nero di Bigorre)
In Europa, le esportazioni di animali vivi valgono 3,3 miliardi di dollari, e le tratte affrontate risultano essere sempre più lunghe, per raggiungere anche Paesi come l’Uzbekistan, la Thailandia o l’Uganda.
Alla luce di tutto questo, è diventato urgente per i legislatori dell’Unione europea agire adottando norme più severe sul trasporto di animali vivi. Lo scorso giugno il Parlamento europeo ha votato a favore dell’istituzione di una commissione d’inchiesta per indagare sul trasporto di animali vivi attraverso – e fuori – dall’Unione Europea.
La commissione d’inchiesta dovrà stabilire se la Commissione europea abbia mancato di agire nonostante prove di «gravi e sistematiche» violazioni dei regolamenti europei per la protezione degli animali vivi. Alcuni membri del Parlamento europeo, critici nei confronti delle esportazioni di animali vivi, hanno ripetutamente esortato la commissione a prendere in considerazione di imporre il divieto di esportare al di fuori dell’Ue.
Slow Food e il benessere degli animali
Da tempo Slow Food lavora attivamente per promuovere un approccio olistico al cibo e all’agricoltura. Crediamo che adottare buone pratiche che assicurino il benessere degli animali sia un aspetto fondamentale, non solo perché rispettano gli animali come esseri senzienti, ma anche perché vanno a beneficio di produttori, consumatori e naturalmente dell’ambiente.
I Presìdi
Attraverso i suoi progetti, Slow Food intende sensibilizzare il più ampio numero di persone sul legame che unisce benessere animale, salute umana e sostenibilità ambientale. I Presìdi Slow Food, ad esempio, possono avere un impatto diretto sul benessere degli animali in quanto i protocolli di produzione che coinvolgono il bestiame rispettano le linee guida di Slow Food in materia di razze, alimentazione e riproduzione.
(Razza bovina grigia alpina, Presìdio Slow Food)
Porre attenzione alla produzione, però, non è sufficiente: altrettanto importante, secondo noi, è lavorare sul piano educativo. Nel corso degli anni, Slow Food ha sviluppato una rete diffusa in tutto il mondo che ha portato alla nascita di svariati progetti in scuole e in orti comunitari. In questo modo forniamo alle giovani generazioni gli strumenti necessari per compiere scelte più sane e sostenibili nel corso della loro vita.
Da sempre, inoltre, Slow Food si impegna a sensibilizzare su temi che le stanno a cuore: ne è un esempio la campagna “Meat the Change”. Lanciata nel gennaio 2020, punta a incoraggiare le persone a mangiare un quantitativo minore di carne, ma di migliore qualità, e a riflettere sulle conseguenze delle loro scelte alimentari.
L’etichetta narrante
Per questo stesso motivo, Slow Food ha sviluppato anche il progetto dell’etichetta narrante, basato sull’idea che ogni prodotto debba raccontare la propria storia. L’etichetta narrante fornisce informazioni dettagliate sui produttori, la zona di origine dell’alimento, la varietà vegetale o la razza animale utilizzata, le tecniche di coltivazione o di allevamento adottate, i protocolli di lavorazione e il rispetto delle disposizioni in materia di benessere degli animali.
Crediamo che l’Unione europea debba impegnarsi per assicurare maggiore coerenza alle proprie politiche alimentari. Secondo Slow Food è necessario adottare provvedimenti che tengano in considerazione quanto costi assicurare benessere animale, sostenendo di conseguenza gli allevatori che volontariamente optano per adottare standard superiori a quelli richiesti dalla legge.
Slow Food si impegnerà per il pieno riconoscimento del benessere animale come elemento delle future strategie dell’Ue sulla sostenibilità del sistema alimentare.