Le Comunità del cibo
Le comunità del cibo sono gruppi di persone che producono, trasformano e distribuiscono cibo di qualità in maniera sostenibile e sono fortemente legate a un territorio dal punto di vista storico, sociale e culturale. Le comunità condividono i problemi generati da un’agricoltura intensiva lesiva delle risorse naturali e da un’industria alimentare di massa che mira all’omologazione dei gusti e mette in pericolo l’esistenza stessa delle piccole produzioni.
Di seguito sono elencate le due Comunità del cibo attualmente presenti nella provincia di Varese:
La Comunità del cibo di Curiglia con Monteviasco
La Comunità del Cibo di Curiglia con Monteviasco è stata costituita per volontà di un gruppo di agricoltori e allevatori locali e della Condotta Slow Food della provincia di Varese, per preservare e sviluppare l’allevamento delle capre secondo criteri di qualità, sostenibilità ambientale ed economica. L’allevamento delle capre è di tipo estensivo, con il massimo utilizzo possibile del pascolo per l’alimentazione, l’assenza di alimenti O.G.M. ed una produzione di latte non superiore ai 700 chilogrammi per capra come media annuale.
Il disciplinare
L’ allevamento delle capre
L’allevamento del gregge di capre deve essere di tipo estensivo, cercando di sfruttare al meglio le risorse naturali locali. Deve essere utilizzato per il maggior numero di mesi possibile il pascolo (periodo vegetativo) come base principale di alimentazione, integrata poi in stalla con fieni e concentrati il più possibile naturali. Sono da evitare gli alimenti non esenti da O.G.M.; in particolar modo si consiglia attenzione nell’uso della soia, eventualmente da sostituire con altre fonti proteiche tipo fave, pisello proteico, erba medica.
L’uso di farmaci dovrà essere previsto solo in caso terapeutico di vera necessità, evitando abusi ed usi impropri.
Le razze ammesse sono: Camosciata delle Alpi, Nera di Verzasca e Meticce locali, presenti negli allevamenti della Val Veddasca e Val Dumentina.
La mungitura dovrà essere effettuata manualmente, sarà ammessa quella meccanica purché si rispettino le norme di benessere animale. In entrambi i casi si dovranno rispettare le norme igienico-sanitarie per produrre un latte di buona qualità idoneo alla caseificazione.
Come già accennato, l’allevamento dovrà essere estensivo, pertanto è stato fissato un limite massimo di produzione di Kg 700 come media di stalla per anno.
Tutte queste norme sono fissate per tutelare gli animali allevati ed il loro benessere e per produrre un latte con ottime caratteristiche organolettiche.
Allevamento e svezzamento del capretto delle Valli Veddasca e Dumentina
I soggetti maschi e femmine dovranno essere nati ed allevati nelle aziende del territorio aderenti alla Comunità del cibo. I capretti nella loro prima fase di vita dovranno essere nutriti esclusivamente con latte materno naturale. I capretti di età compresa tra 30 a 60 giorni saranno commercializzati con un peso macellato variabile da 7 a 12 kg.
Frumagit de càvra di Curiglia con Monteviasco
Origini
Citato come “Tomino di Monteviasco” in pubblicazioni turistiche di una settantina di anni fa, è conosciuto localmente sempre e solo come Frumagìt. La fama dei Frumagìt di Curiglia con Monteviasco era, però, di più antica data. La produzione di questo tipo di formaggino di puro latte caprino a coagulazione prevalentemente presamica è attestata come tradizionale in entrambi i paesi che costituiscono il comune e che si trovano sul versante orografico sinistro della val Veddasca, costituendo il “tetto” della provincia di Varese.
Nei due paesi l’allevamento caprino era praticato da buona parte delle famiglie, tanto che anche nei primi decenni del XIX secolo, quando si fecero forti le pressioni contro il mantenimento e il pascolo delle capre, la popolazione caprina si mantenne sull’ordine delle diverse centinaia di capi. Il latte di capra veniva utilizzato per la minestra ma anche chi possedeva una sola capra (come certe vedove), non rinunciava a farsi in casa il suo Frumagìt. La cosa interessante è che questa produzione non veniva realizzata per le sole finalità dell’autoconsumo ma anche per la vendita.
A Curiglia e Monteviasco ogni famiglia possedeva diverse capre (a differenza delle comunità di paesi siti a quote inferiori e di altre zone collinari della provincia dove, effettivamente, venne imposto un limite di 1-2 capi, riservati alle sole famiglie “miserabili”).
Anche quando – a inizio ‘900 – non esisteva ancora la strada carrozzabile, dai due paesi le donne scendevano a Luino con le gerle per vendere i Frumagìt. A tal fine essi venivano accuratamente “imballati” utilizzando strati di foglie. La vendita era effettuata presso privati ma anche ai banchi assegnati dal comune di Luino e presso alcune rivendite. La fama dei Frumagìt di Monteviasco e Curiglia era tale che erano distribuiti anche al di là del lago per essere venduti in diverse località della sponda verbanese (Canobbio, Intra).
Pascoli
Tutte le aziende del comune praticano il pascolo; alcune – come quelle di Monteviasco – possono utilizzare veri e propri pascoli di alpeggio a 1400 metri e oltre. Le aziende di Curiglia utilizzano i “vecchi” monti (maggenghi) dove oggi non si raccoglie più il fieno (si tratta di terreni siti a 800-900 metri).Vengono utilizzate anche le “alpi”del paese, ad oltre 1000 metri di quota. A Piero il pascolo è limitato al fondo valle (600 metri circa). Si tratta di pascoli prevalentemente erbacei, ma le capre hanno molte occasioni per alimentarsi di essenze arbustive (tra le quali è molto appetibile il Sorbo degli uccellatori).
Tecnologia
Il latte ancora caldo di mungitura viene addizionato con caglio liquido o con caglio auto-prodotto facendo essiccare le “pellette” di capretto e poi con estrazione in una soluzione di acqua salata o di siero. Al latte possono essere eventualmente aggiunti innesti autoctoni o selezionati.
La coagulazione avviene in tempi variabili (da mezz’ora sino a due ore), la temperatura è compresa tra i 30° ed i 34°. La rottura della cagliata è eseguita a una dimensione variabile dal chicco di mais alla noce; poi la si lascia riposare per un tempo che va da 10 a 20 minuti ed infine si procede con una breve agitazione di circa 5 minuti.
Tradizionalmente la cagliata veniva trasferita con una schiumarola o caraffa in uno stampo particolare detto tromba o caròt. Lo stampo era provvisto a un’estremità di un imbuto saldato e dall’altra di un coperchio della lunghezza di circa 50 cm, aveva sezione ellittica con l’asse maggiore di circa 8 cm e quello minore di 6. Tale sagomatura conferiva ai Frumagìt la loro caratteristica forma ellissoidale. Attualmente la maggior parte dei produttori utilizza formine forate aventi dimensioni di cm 7 x 9 circa. Sarebbe auspicabile tornare entro breve tempo alla forma tradizionale ovale. Lo spurgo ha durata di 12-24 ore.
I formaggini (con l’altezza dello scalzo di 2-4 cm) vengono tagliati facendo uscire la pasta dallo stampo con la lama del coltello quando si utilizza il caròt. La pezzatura è di circa 80-150 g. I Frumagìt destinati alla maturazione vengono salati a secco su entrambe le facce e collocati su assi di legno rivestite da teli.
Vengono rivoltati e puliti frequentemente, eventualmente la crosta potrà essere lavata con acqua, siero o latte. La maturazione avviene in cantine naturali e la crosta presenta, in funzione del microclima, fioriture dal bianco al rosso.
La vendita può avvenire anche dopo solo 1-2 giorni per la versione fresca, mentre per la versione stagionata si attende una maturazione più o meno intensa che può variare da alcuni giorni fino ad un mese.
Gastronomia
Fresco e non salato, il Frumagìt potrebbe essere ideale anche per la prima colazione, ma più comunemente è servito come antipasto e con insalate. In ragione della piccola pezzatura e delle cure ricevute durante la breve maturazione, il prodotto “affinato” assume gusti abbastanza intensi e può trovare vari accompagnamenti con vini e composte di piante spontanee dei pascoli.
Le caratteristiche particolari del prodotto, che lo distinguono dai più comuni caprini a coagulazione lattica, ne rendono interessante la presenza nell’ambito di “selezioni” di formaggi servite a fine pasto o come portata principale.
Furmagg’ de Sègia
Origini
Si tratta di preparazioni alimentari realizzate a volte con diversi tipi di formaggi, sia a pasta dura sia molle, con l’aggiunta di latte o siero e pepe. La preparazione prevede un processo di maturazione tradizionalmente di almeno 40 giorni con proteolisi e lipolisi spinte dei formaggi. Il nome deriva dal recipiente tradizionale in legno utilizzato per la preparazione; è il caso del Furmagg’ de sègia della Provincia di Varese.
Le preparazioni del tipo furmagg’ de sègia erano legate a precise stagionalità, spesso preparate in autunno come conserva per l’inverno. A Curiglia era molto apprezzato dalla componente maschile della popolazione: lo si preparava a fine agosto/settembre quando le capre cominciavano ad andare sui pascoli alti e venivano munte una volta sola. Il Furmagg’ de sègia veniva fatto con formaggio buono, non con pezzi di scarto, durava tutto l’inverno assumendo un gusto piccante e ne bastava poco con la polenta a riempire la bocca. Nella preparazione e nel consumo non vi era solo una componente pratica, ma era considerata una vera e propria specialità gastronomica anche nel contesto di una società rurale molto povera.
Tecnologia
Formaggio presamico di capra (vacca) in stadio giovane, quasi asciutto senza crosta definita. Formato da vari formaggi o porzioni di essi depositati a strati per tutto il volume del secchio (sègia) di legno. Ogni strato viene spolverato abbondantemente con pepe macinato grosso. A volte sul fondo della sègia si deposita un po’ di sale. Il formaggio utilizzato può essere porzionato per riempire gli spazi vuoti. La superficie superiore del formaggio intero viene coperta con latte e in successione con tessuto idoneo di fibra naturale, disco di legno e relativo peso per esercitare una pressione durante la maturazione. Periodicamente si avrà l’accortezza di mantenere la giusta umidità aggiungendo piccole quantità di latte o siero. La maturazione caratteristica avverrà dopo circa 40 giorni.
La comunità del cibo del fagiolo di Brebbia
Il fagiolo di Brebbia è una varietà di fagiolo autoctono del Vecchio Mondo, essendo originario dei Paesi del bacino del Mediterraneo. Consumato fin dall’antichità, quando era chiamato Phaseolus, deve il nome attuale (fagiolo dell’occhio) a una macchiolina rotonda e scura presente al centro della sua concavità. Le dolci colline e l’ampia pianura di Brebbia sono sempre state terre feconde e molto indicate per la coltivazione di questo legume. Ecco perché seguendo una tradizione che voleva per gli abitanti di ogni paese un particolare appellativo, fu facile chiamare i brebbiesi “Fagioli” o per meglio dire “Fasòeu”.
Con la venuta del fagiolo importato dalle Americhe, infine, il fagiolino dell’occhio fu messo in disparte, in quanto la sua coltivazione era ritenuta meno redditizia, in termini quantitativi, rispetto ai fagioli americani. Solo recentemente la comunità brebbiese ha intrapreso il doveroso processo di reintroduzione di questa antica coltivazione, attraverso piccoli impianti e orti famigliari, secondo un modello molto vicino all’agricoltura di sussistenza. La Condotta di Slow Food provincia di Varese ha ritenuto di costituire attorno al “Fagiolo di Brebbia” una propria Comunità del cibo, definendo congiuntamente con i piccoli agricoltori un apposito disciplinare di coltivazione.
Ricchi di fibre, proteine e gusto, i fagioli hanno avuto alterne vicende nella storia della gastronomia. Grazie alle loro proprietà nutritive e al gusto sapido e corposo, furono considerati afrodisiaci oltre che adatti alla cosmesi femminile. Con le invasioni barbariche cominciò una contrapposizione, destinata a durare a lungo, tra la carne, alimento nobile e costoso destinato alle mense dei ricchi, e i fagioli, umile e semplice cibo dei contadini, ignorato o disprezzato dall’alta gastronomia, ma considerato la “carne dei poveri” per il suo enorme valore nutritivo. Allora era solo un’intuizione nata dall’esperienza, oggi sappiamo che ben il 24% del contenuto di un fagiolo secco è formato da proteine e il 48% da glucidi. Ma le sue qualità dietetiche non si fermano qui: rispetto alla carne contiene un minor numero di grassi e una maggiore quantità di lecitina, una sostanza capace di sciogliere i grassi che si accumulano nel sangue.
Il disciplinare
Art. 1 (Identificazione) – In base ad una ricerca effettuata sulle famiglie del Comune di Brebbia e ad approfondimenti di carattere storico-popolare sull’agricoltura locale, la denominazione di “Fagiolo di Brebbia” è riservata alla tipologia del Fagiolo dell’occhio, ottenuto in conformità di queste specifiche e soltanto nel territorio comunale di Brebbia e dei comuni limitrofi, in un raggio massimo di 5 km. Con la denominazione “Fagiolo di Brebbia”, o la sua variante dialettale “Fasòeu dè Brebièe”, s’intende un prodotto tipico locale ottenuto secondo le regole a seguire del presente disciplinare.
Art. 2 (Produzione) – Secondo le tradizioni tramandate dalle vecchie generazioni e sulla scorta delle esperienze maturate nella coltivazione degli impianti “pilota” realizzati nel territorio del Comune di Brebbia, le cui tecniche di coltivazioni conservano intatte le tecniche produttive originali, si è proceduto a definire le seguenti raccomandazioni che devono essere rispettate per la coltivazione del Fagiolo di Brebbia:
a) Zone di coltivazione : terreni pianeggianti, o alle prime pendici delle colline del paese, fertili e di medio impasto;
b) Preparazione del letto di semina: Il terreno per la semina dei fagioli va preparato con un’aratura meccanica alla profondità di circa 30-40 cm, una concimazione presemina a base di letame e una fresatura (meccanica) per interrare i concimi e sminuzzare lo strato di terreno interessato dall’apparato radicale della specie.
c) Epoca di semina: Il fagiolo con l’occhio nero va seminato dalla seconda decade di maggio fino alla fine dello stesso mese. Questo ecotipo di fagiolo è sensibile ai forti calori estivi (che possono incidere negativamente sull’allegagione e formazione dei baccelli), alle piogge prolungate, al vento e alle basse temperature.
d) Il seme, in mancanza di prodotto selezionato e certificato dal Comitato di tutela, deve essere raccolto nella campagna precedente dalle piante più produttive e con baccelli uniformi che non hanno manifestato sull’intera pianta sintomi di malattie contagiose (virosi ecc.) durante il ciclo vegetativo; deve, inoltre, essere selezionato con controlli visivi: i semi devono essere perfetti e non presentare danni da parassiti.
e) La scelta della distanza di semina del fagiolo dell’occhio nero, in riferimento alle caratteristiche della specie (molto vigorosa), va effettuata in modo da far vegetare e produrre la pianta nelle migliori condizioni d’esposizione ai raggi del sole e far circolare l’aria all’interno della massa fogliare. Le distanze di semina più indicate per il fagiolo dell’occhio nero, in riferimento ai suddetti obiettivi, sono: cm 20 -30 sulla fila e cm 100-150 tra le file. In particolare si consiglia di deporre gruppi di 5 semi alla distanza prescelta sulla singola fila e ricoprirli con uno strato di circa 2-3 cm di terreno.
f) Sarchiatura: la prima sarchiatura va eseguita dopo qualche settimana dalla semina, quando le piantine hanno raggiunto un’altezza di circa 20 cm; la seconda e la terza quando le erbe infestanti o il terreno (compattato dalle irrigazioni o dalle piogge) ostacolano l’attività vegetativa e produttiva della specie in oggetto. Le operazioni di sarchiatura possono essere eseguite manualmente sulle file e con motozappa tra le file.
g) Strutture di sostegno: la pianta di fagiolo dell’occhio è un rampicante molto vigoroso che per poter vegetare e fruttificare nelle migliori condizioni deve essere affidato fin dalla nascita ad una struttura di sostegno (piante di mais, canne, frasche, rete di plastica con pali tutori ecc.) per alzare gli apici vegetativi dal terreno. Alla luce delle attuali conoscenze la struttura di sostegno più economica e di più semplice montaggio è la rete di plastica con pali tutori (di legno, di resina , di ferro trattato ecc.), anche se la coltura più tradizionale vede la convivenza simbiotica del fagiolo con le piante di mais, che fungono da tutori.
h) Irrigazione: Il Fagiolo di Brebbia è molto esigente di acqua e ai primi sintomi di carenza idrica bisogna irrigare per non compromettere la produzione. I turni d’irrigazione, in riferimento a quanto detto, si devono ripetere con una cadenza media di 15 giorni nel primo periodo ed alla comparsa di sintomi di stress idrico nell’ultimo periodo.
i) Nel corso della vita produttiva della piantagione è consentito l’uso esclusivo di concimi naturali, in particolar modo di letame.
j) La raccolta avviene a mano.
Art. 3 (Caratteristiche del prodotto finito) – Eseguita la raccolta a mano, i baccelli, essiccati al sole, vengono sgranati: il Fagiolo di Brebbia è dunque pronto per essere consumato o conservato per l’inverno. Il confezionamento avviene con l’ausilio di un sacchetto (di plastica o, preferibilmente, di stoffa) sul quale viene applicato il logo identificativo del prodotto.
Art. 4 (Autocontrollo e certificazione) – La produzione del Fagiolo di Brebbia avviene sotto il controllo del Comitato della Denominazione Comunale istituito dal Comune di Brebbia.