A quanto pare il 2021 sarà un anno cruciale per la lotta alla crisi climatica, a maggior ragione perché tale lotta dovrà essere anche la principale strategia di uscita dalla crisi economica causata dall’emergenza sanitaria in corso.
È la strada che ha scelto di intraprendere l’Unione Europea attraverso il lancio del programma NextGenerationUe, e in particolare della Recovery and Resilience Facility.
La resilienza di Terra Madre
Recupero (recovery) e resilienza (resilience) sono parole che Slow Food conosce e pratica da anni: attorno a questi due concetti infatti è cresciuta la rete di Terra Madre, una rete fatta di produttori, ristoratori, consumatori, ma anche studenti, ricercatori, attivisti. Le esperienze portate e nate nell’ambito della rete di Terra Madre sono quelle che alimentano la nostra convinzione che è da lì, da quei due concetti che dobbiamo ripartire. Le comunità che ne fanno parte custodiscono saperi materiali nei quali le economie non prescindono dal rispetto dell’ambiente, del suolo, delle persone. Lo hanno dimostrato e lo stanno dimostrando tuttora i produttori e i ristoratori che travolti dall’emergenza hanno saputo resistere, reagire, ripartire trovando spesso nella comunità linfa fondamentale per sostenere quegli sforzi.
Recovery fund sostenga agroecologia
Da anni Slow Food chiede ai Governi di realizzare una svolta importante verso una società più giusta e sostenibile sia per le persone che per l’ambiente cercando di mettere a valore l’enorme e straordinaria diversità del mondo produttivo che c’è nel nostro Paese, di quella agricoltura di piccola scala che può e deve guidare il processo di transizione ecologica.
In questo senso, NextGenerationUE, rappresenta un’opportunità straordinaria. Stiamo vivendo davvero un momento epocale che vede al centro la possibilità di abbandonare le ricette del passato e di investire con coraggio in un vero Green Deal Europeo per costruire meglio e in modo diverso il nostro futuro. Sull’ambiente, ad esempio, gli accordi quadro europei mettono vincoli precisi: il 37 per cento delle risorse del Recovery Fund deve essere usato in investimenti per la lotta al cambiamento climatico.
Questo può davvero cambiare il nostro modello produttivo in una logica di filiera e di economia circolare che determini di conseguenza un abbassamento delle emissioni climalteranti.
I costi economici, sociali e ambientali legati ad un eventuale utilizzo sbagliato dei fondi del Recovery Fund ricadrebbero sulla “next generation”, la generazione successiva. È il senso di responsabilità verso chi sarà chiamato, suo malgrado, a fare i conti con le conseguenze delle nostre scelte di oggi, la ragione per cui ogni sforzo deve essere teso a far sì che quella occasione non vada sprecata e che diventi al contrario leva per cambiare paradigma e colmare i ritardi accumulati in anni di politiche energetiche e climatiche poco lungimiranti.
Facciamo partire il Recovery Fund dal cibo, sostenendo attraverso le sue risorse anche il mondo agricolo di piccola scala, promuovendo un approccio agroecologico in campo, rispettoso del suolo e della biodiversità, capace di nutrire il pianeta e al tempo stesso mitigare gli effetti del cambiamento climatico; promuovendo produzioni locali e filiere più corte per un’agricoltura di prossimità sostenibile sotto il profilo ambientale, economico e sociale.
Recupero e resilienza, partiamo da lì. Insieme a tutte le realtà che come noi credono al significato profondo – e non retorico – di queste parole e a tutta la società civile possiamo orientare la scelta dei governi e dell’Europa su questa strada consapevoli che fallire, significherebbe tradire i nostri figli e i nostri nipoti, la “next generation”.
Gaia Salvatori
g.salvatori@slowfood.it